Chiavennasca è il nome del Nebbiolo coltivato in Valtellina, vuoi per assonanza con la vicina Val Chiavenna, vuoi per i rimandi dialettali-lessicali a ciuvenasca - vitigno con più vena, linfa, quindi più vigoroso - oppure ciu-vinasca - specie più adatta a diventare vino.
Il Nebbiolo tra i terrazzamenti valtellinesi è storia, è radice e legame indissolubile con il paesaggio e le genti che l’hanno modellato. È l’uva sicuramente presente già del ‘600, periodo in cui dialogava con altri vitigni molti dei quali poi abbandonati. Il Nebbiolo è il vitigno scelto per la ricostruzione del vigneto valtellinese dopo l’epidemia della fillossera di fine '800.
E proprio per il suo benessere tra la roccia, i suoli magri, il microclima della Valtellina, è la varietà che regala vini di rara finezza, longevi, complessi, ma mai complicati. Si può dire che il Nebbiolo in Valtellina sia a tutti gli effetti un'uva autoctona, forte dell’isolamento e del lungo adattamento tra le montagne.
Tra gli storici alleati del grande vitigno non si può non citare la Rossola, presente qua e là tra i vigneti più datati, distintiva per il colore scarico dei mosti e la ricchezza in acidità. Importante anche il ruolo della Pignola, che cede colore e note di frutta e di cui esistono anche interessanti interpretazioni nella spumantizzazione. Altro vitigno autoctono che partecipa assieme al Nebbiolo, è la Brugnola, nota anche per il suo consumo come uva da tavola dopo l’appassimento sui tralci.
La presenza di varietà non tradizionali risponde all'estro e alla voglia di sperimentare di alcuni produttori. In Valtellina si possono trovare filari di sauvignon, chardonnay, pinot nero, merlot e vitigni resistenti.
Fare viticoltura in Valtellina significa accettare la sfida dell’alto impiego di lavoro altamente specializzato, quasi esclusivamente manuale. I viticoltori si inerpicano su per ridotti e angusti terrazzi ridotti per superficie e collegati tra loro da scalette in pietra.
La coltivazione della vite in Valtellina è distribuita nel versante retico su una superficie di circa 820 ettari. Questo patrimonio vitato è collocato in zone ad altissima vocazione, pressoché tutte terrazzate, tra i 300 e i 600 metri di quota. Ci sono alcune eccezioni rappresentate da parcelle di vigneti che sfiorano gli 800 metri e alcune vigne nel versante orobico.
Patrimonio straordinario del vigneto valtellinese è la presenza di vecchi ceppi, esempio di storia, sapere, tecniche rurali del territorio. Le vecchie vigne conservano il tradizionale sistema di allevamento ad archetto valtellinese, sono disposte nord-sud, hanno una densità di impianto contenuta e una potatura lunga.
Per agevolare il lavoro tra i filari, laddove la pendenza e la creatività del viticoltore lo consentono, sono state introdotte nuove modalità di coltivazione della vite. In alcune zone i vigneti sono stati "girati", con disposizione dei finali est-ovest (a girapoggio), così da rendere possibile l’intervento di piccoli trattori. Un contributo di innovazione che guarda alla sostenibilità.
Coltivare la vite significa anche seguire le necessarie opere di mantenimento del paesaggio: pulizia e cura dei muri sono pratiche costanti. La struttura interna delle terrazze è soggetta a ostruirsi con fogliame, erbe, ghiaia e altri materiali di caduta, frenando il fluire dell’acqua e aumentando il rischio di frane.
Il Nebbiolo e gli altri vitigni trovano espressività tra i terrazzamenti, minuscoli fazzoletti di terra sottratti alla montagna
Valtellina, il Nebbiolo delle Alpi